Per scoprire tutte le novità in anteprima e rendere la tua esperienza esclusiva scarica l’App ufficiale di Marco Mengoni.

scarica l'app ufficiale

"La mia musica privata"

Marco pittore nell'articolo per La Lettura del Corriere della Sera

No, non parleremo di musica. L'appuntamento è fissato per la tarda mattinata di martedì 11 dicembre, in un edificio del centro di Milano. L'occasione per il nostro incontro: l'uscita di Atlantico. Che non è solo un album, attraversato da echi di esperienze, di viaggi in giro per il mondo, di sfioramenti, di solitudini, di visioni, di innamoramenti, di fascinazioni, di sonorità. È anche un progetto intermediale, accompagnato da diversi eventi «artistici». Lo scorso 29 novembre si è tenuta una tre giorni intitolata Atlantico Fest: come una provvisoria factory della creatività contemporanea. La Torre Velasca di Milano ha ospitato una immersive experience , che ha permesso al pubblico di sperimentare la musica di Marco Mengoni. Al quinto piano della torre è stato ordinato un percorso lungo 13 stanze: in ogni camera è stata allestita una performance dedicata a una delle tracce del disco. Tra gli autori di queste reinterpretazioni corsare e laterali, un attore (Maziar Firouzi), due band (Dona Flor e Funclab Collective), un product designer (Elena Salmistraro), un'illustratrice e fumettista (Silvia Ballardini), un artista interdisciplinare (Giuseppe La Spada), una coreografa (Macia Del Prete), una campionessa mondiale di pugilato (Simona Galassi), un artista neo-pop (Willow) e uno studio di design (Studio Milano - Graphic).
Inoltre, al piano terra della Torre Velasca è stata allestita SOUP, la mostra di Mandy Barker, che per il «National Geographic» fotografa i rifiuti trasportati dai mari e crea composizioni di grande impatto emozionale, invitando a riflettere su uno tra i principali problemi ambientali di oggi: l'inquinamento degli oceani. Infine, il nuovo progetto di Mengoni ha previsto alcune «invenzioni» elaborate dagli studenti dei corsi d'arte e moda di Naba, di Ied e del Politecnico, ispirate dai testi e dai suoni di Atlantico. Nell'accostarsi, questi momenti vanno a comporre un affresco dissonante, contraddittorio.
Ecco: contraddizione è la parola-chiave intorno alla quale ruota l'intero cd. «La contraddizione fa parte di me, del mondo, della società. Di questo parla il mio disco: di un mondo vasto, senza muri né barriere, dominato da contrasti anche meravigliosi», dice Mengoni.

Dunque, non parliamo di musica, ma di arte.
«Non parliamo di arte, la prego. Non mi sentirei mai di avvicinare questa parola - troppo alta e importante - al mio lavoro».

Eppure, ha avuto una formazione artistica.
«Sì, ho frequentato l'Istituto d'arte di Civita Castellana. Ho studiato pittura. Amavo soprattutto surrealisti come Magritte. Conosco le tecniche. Ho conservato una buona manualità. Ma non volevo diventare pittore. Avevo intenzione di proseguire nell'ambito del design. Poi, la vita mi ha riservato altro».

Oggi molti artisti, scrittori, registi, architetti e musicisti avvertono con forza la necessità di portarsi al di là dei confini propri delle loro pratiche, operando, ha scritto il critico Nicolas Bourriaud, come «semionauti» animati dal bisogno di mettere in collegamento «un mondo a un altro, una forma a una narrazione, una tecnologia dell'oggi a una leggenda di ieri». Motori di ricerca che navigano tra «gigantesche masse di informazioni, in un contesto (...) caratterizzato dall'iperproduzione». Transitano attraverso pratiche eterogenee e sperimentano convergenze, spingendosi così verso territori dove linguaggi non contigui entrano in collisione e si sovrappongono, fino a perdere la propria configurazione tradizionale.
«Mi piace essere attento a tutto quello che mi circonda. Mi incuriosisce molto quello che sta intorno al mio mestiere. E può arricchirlo. È una mia inclinazione istintiva».

L'arte entra anche nel suo lavoro musicale.
«Disegno i palchi dei miei concerti. E ho l'abitudine di portare sempre con me in viaggio matite, penne, acquerelli e un blocco, dove schizzo continuamente».

Come se fossero carte d'imbarco...
«Sì, esattamente».

Esiste una forte dimensione visiva nei suoi testi e nella sua musica.
«Sì, cerco di trasmettere colori, sfumature. Anche il coautore di alcune canzoni di Atlantico, Fabrizio Ilacqua, ama dipingere. Nelle fasi di preparazione di alcuni brani, sono andato spesso a trovarlo nella sua casa in collina, vicino Varese. Con lui, ho provato a individuare le parole e le note giuste per evocare certi colori visti nei miei viaggi. Nelle pause, dipingevamo insieme».

L'arte è al centro dell'«Atlantico Fest».
«Ho riunito artisti che mi piacciono, scoperti spesso su Instagram. Sono artisti che ho scelto non per affinità con me, ma per contrasto con le atmosfere di Atlantico . Ciascuno di loro ha riscritto visivamente e liberamente i pezzi del cd. Del resto, condividere fa parte del mio modo di creare».

Ci potrebbe parlare anche del dialogo con gli artisti e gli stilisti in erba di Naba, di Ied e del Politecnico?
«Il rapporto con i ragazzi è stato straordinario. Ho parlato con loro di come è nato il disco, facendo una sorta di autoanalisi. Poi, hanno ascoltato Atlantico. E hanno cominciato a dipingere e a disegnare, offrendo racconti diversi del disco. Hanno svelato anche a me lati dei miei brani che io non avrei mai colto. Mi sono rivisto nei loro segni».

Tra i pittori da lei maggiormente amati, Frida Kahlo, cui ha dedicato «La casa azul».
«Frida mi ha sempre affascinato. Mi sono chiesto spesso chi fosse davvero. Al di là delle sue opere, che forse sono un modo per lenire le sue ferite. Mi ha colpito il suo coraggio di essere sempre sé stessa. Una rivoluzionaria. Un po' mi sono identificato con lei».

Ancora a proposito del suo rapporto con l'arte. In occasione dell'uscita di un altro suo album, «Solo», si è misurato con la graphic novel. In quel cd si trovava un codice da inserire sul suo sito, che permetteva di scaricare il primo episodio dell'omonimo fumetto. La storia, realizzata in collaborazione con il grapher Daniele Zed Berretta (da una sua idea), narrava di un ragazzo di nome Solo, alla continua ricerca di qualcosa. Realizzerebbe una graphic novel ispirata ad «Atlantico»?
«Mi piace giocare con quel che sta intorno alla musica: con la cornice del quadro. È quello che ci hanno insegnato figure come David Bowie, Prince e Michael Jackson. Quella della graphic novel, però, è stata una parentesi divertente. Non ripeterei l'esperienza. Sono un perfezionista, eternamente insoddisfatto. Mi lancio a capofitto in un progetto. Cerco di risolverlo. Poi, devo voltare pagina».

Veniamo agli acquerelli che ha scelto di presentare ora per la prima volta (in esclusiva per «la Lettura»). Tentativi per svelare le ragioni segrete sottese alle sue canzoni; ma anche per donare un volto alle sue parole e alle sue note. Talvolta, schizzi densi di memorie surrealiste e pop. Appunti ingenui, di evidente efficacia decorativa. Simili a confessioni caratterizzate da una grazia infantile. Una passione che condivide con altri cantautori come Battiato, Bennato, Carboni...
«A casa ne ho tanti. Ma non li mostrerei mai. Sono i miei appunti privati. Spesso, sono imperfetti. È quello che mi ha insegnato una mia docente a scuola. Non cancellare le imperfezioni, appunto. Non tornare indietro. È un po' come la vita, in cui non si può correggere niente».

Il primo disegno che riproduciamo su «la Lettura» è un omaggio a una Frida Kahlo sfigurata.
«Il volto è tagliato. Non si vedono occhi. Ai lati, in ombra, due volti del suo amore, Diego Rivera».

Poi, due mani che si intrecciano. Un soggetto che collega a due brani del cd, «Muhammad Ali» e «Due pazzi».
«Sono giochi di mani. Sai, ho difficoltà a disegnare la forma delle mani. Perciò mi esercito a disegnarle. Questo disegno racconta un po' i miei due ego».

E ancora: un pennello abbandonato su una pagina, che idealmente rinvia a «La ragione del mondo».
«Un pennello scarico. Un modo per dire che non ho più nulla da dipingere».

Ed ecco una silhouette femminile morbida e sinuosa, priva di un'identità riconoscibile, non troppo diversa da Amalia, protagonista di un brano del nuovo cd, che «canta da sola» ed è «pura bellezza».
«Qui vedi la libertà del movimento, la bellezza del corpo umano, la semplicità e l'armonia dei gesti. Un corpo liberato da qualsiasi dettaglio fisico, con pochi tratti essenziali, che cattura un attimo di assoluta naturalezza e di spontaneità, di lentezza e di leggerezza».

Infine, uno strano animale su fondo blu, vagamente surrealista, un po' alla Tanguy o alla Matta, che evoca «I giorni di domani».
«Un mollusco colorato, che vive nel buio del mare, illuminandolo. Rimanda a certe persone che, a un tratto, diventano parti di noi».

Ha molto a che vedere con l'arte anche un genere a lei caro come il videoclip. Si tratta di un inter-genere che accosta istanze estetiche e promozionali. Si collega una colonna sonora a un commento: senza una rigida coerenza. L'immagine e il suono, il video e la musica si fondono e si inseguono in una doppia ellisse. Testimonianze di uno slang generazionale, i videoclip nascono dalla canzone: e in base a essa si strutturano. E, tuttavia, la canzone è solo una traccia di partenza. Il regista restituisce il «ritratto» di un brano, cui associa suggestioni libere, evocando situazioni, atmosfere...
«Entro sempre nelle fasi di ideazione dei videoclip. Spesso, ne sono anche il co-regista. Cerco di non essere mai didascalico né banale e neanche troppo fedele al brano. Mi è capitato anche di concepire tre videoclip del mio precedente album, Le cose che non ho (Ti ho voluto bene, Parole in circolo , Solo due satelliti ) come parti di un cortometraggio. A volte, ho girato videoclip che andavano quasi contro la stessa volontà dei miei produttori. Ad esempio, nel caso di Come neve : Giorgia e io appariamo come maschere di ghiaccio che lentamente si sciolgono. Forse ero troppo avanti? Scherzo».

Chiudiamo dall'inizio: i suoi anni di formazione. Marco Mengoni che inizia a dipingere.
«Ricordo un episodio. Frequentavo l'Istituto d'arte. Un giorno mi presento in aula con una tela di grande formato. La srotolo. E vi dipingo, in basso, un me stesso miniaturizzato, su una linea d'orizzonte. Io sono ancora quella figurina solitaria».

(Vincenzo Trione)